Sulla gentilezza.

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Gentile deriva da “gens”, che in latino significa famiglia. Curioso, no? Come se la gentilezza si acquisisse per discendenza o per osmosi. In realtà l’etimologia fa riferimento ai modi regali e leziosi delle famiglie nobili, ma è comunque interessante capire il significato per comprendere meglio la forza della gentilezza. Se viviamo in un ambiente gentile, anche noi saremo portati a esserlo. Nulla di più semplice.

Durante le mie lezioni, nei minuti di meditazione che precedono le sequenze degli asana, mi piace parlare di gentilezza, che deve essere per prima cosa rivolta a noi e al nostro corpo ma anche al nostro vicino di tappetino e a tutti gli esseri viventi e il mondo che incontreremo fuori dalla shala yoga. Mi piace pensare che le parole “essere gentili” si sedimentino nei miei interlocutori nella speranza che continuino a risuonare anche dopo la lezione. Anche quando gli allievi entrano in ritardo e, incuranti della sala piena, si accomodano rumorosamente o al contrario quando decidono di uscire prima (perché uscire prima, perché? capisco il ritardo ma l’uscita anticipata un po’ meno, gli ultimi minuti della lezione sono quelli più importanti, senza di loro è come aver fatto solo ginnastica… con questo mi giocherò una parte dei miei allievi. Ne sono consapevole.) e sempre rumorosamente si avviano all’uscita. Ma potrei raccontare anche dei telefoni che squillano (?!?!?!) o di quella volta che un’allieva ha risposto alla chiamata – però il telefono era silenzioso… – e non ne voleva sapere di smettere di conversare, o di quando si litiga per il posto in sala. Si litiga. A una lezione di yoga. Non so se mi spiego.

Ecco, questa non è gentilezza. Affatto. È mantener vivo sempre e costantemente il nostro lato più ancestrale e animalesco, quella parte che ha a che fare con la sopravvivenza per intenderci. Come se per sopravvivere a una lezione di yoga si debba necessariamente essere scortesi. Anzi, la scrivo meglio: come se per sopravvivere si debba necessariamente essere scortesi. Infastidire gli altri, mancando di rispetto come se non esistessero. Non dire grazie, prego, mi spiace, scusa, ma al contrario usare toni lamentosi, aggressivi e violenti in qualsiasi situazione, in qualsiasi ambiente, in qualsiasi contesto: ormai troppo spesso siamo in compagnia – nostro malgrado – di persone che hanno come abitudine questo genere di comportamenti, abituarcisi è davvero orrendo. No?
Se il mondo in cui viviamo, a partire dai comportamenti dei nostri governanti – che dovrebbero dare il buon esempio, almeno quello – è scevro di buone maniere, di gentilezza, di empatia, di buon senso, di intelligenza, ciò non può in alcun modo renderci complici nella scortesia. Tutto questo ha a che fare con il futuro, nostro e di chi verrà dopo di noi. Ci vuole sempre una visione, come “dristi” (lo sguardo che definisce il punto di vista) che nell’ashtanga yoga è considerato un vero e proprio allineamento. La visione porta lontani, fa andare oltre, sicuri e forti, insegna a essere flessibili, leali, grati, pazienti e rispettosi. Verso noi stessi e poi verso il tutto, gli esseri viventi e l’ambiente.

La gentilezza non è una virtù. È un patrimonio dell’umanità. È una qualità che appartiene a tutti, che a che fare con la bellezza, col benessere e con la sopravvivenza. La gentilezza è contagiosa. Cerca di essere gentile con te stesso, con gli altri e con il mondo che ti ospita.

Pubblicato da Sonia Pippinato

Yoga trainer 500 RYT, RYPT, yoga nidra, yin yoga.

6 pensieri riguardo “Sulla gentilezza.

  1. Grazie Sonia per il “dristi” interno che ci doni. E per la gentilezza del tuo cuore. Se oggi amo tanto lo yoga e’ soprattutto grazie a te.

  2. Quello che dici a inizio e a fine lezione risuona sempre nella mente e nel cuore. Miei, sicuro. Ma certamente anche di altre. Non potrei non fare yoga in questo periodo.

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