
Il mito induista racconta che nella mitologia Indù si credeva che il Gange, il fiume sacro, fosse scaturito da un dito del piede di Vishnu (il conservatore) la divinità indiana cosmica e solare che assieme a Brahma (il creatore) e Shiva (il distruttore) costituisce la triade Trimurti. Il Gange comparve sulla terra grazie alla preghiera del saggio Bhagirathi che proprio in quelle acque disperse le ceneri dei morti.
Tuttavia Ganga, la dea del fiume Gange, scontenta di lasciare il cielo, minacciò la più grande inondazione mai vista che avrebbe annegato l’intera umanità. In prevenzione di una simile catastrofe, Shiva fece scorrere il Gange attraverso i suoi capelli rallentandone la corsa sfrenata e divise le acque in sette tributari. Shiva divenne così il Gangadhara, ovvero colui che trattiene il Gange.
Le storie mitologiche, le cui metafore continuano a riecheggiare nell’attuale contemporaneo racchiudendo in sé il fascino e la saggezza di epoche lontane.
Esistono diverse versioni della storia del Gangadhara ma la morale è sempre quella: l’importanza di avere forza per controllare le tentazioni, l’arroganza e l’ego. Ci vuole forza e irremovibilità per raggiungere la verità. I capelli di Shiva – proprio come quelli di Sansone, un altro mito di un’altra mitologia – rappresentano la forza che parte dalla testa e ci indicano che per sconfiggere l’arroganza, l’orgoglio e l’ego è necessaria la forza. La forza del corpo e della mente.
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